Marisa Vescovo

Marisa Vescovo, 1984

Omaggio a Maria Callas, 1998 - Tecnica mista su tela - cm 150x180 - Museo Pollenza, Macerata

Il pittore Giuseppe Borrello vuole soprattutto specchiarsi nel caos presente, anche se poi, come in molti casi, è sempre il passato che parla informando il presente. Alla base del lavoro di Borrello sta l’equazione segno - forma - colore (da intendere anche come luce).

Nel segno sensuoso, vitalistico, si possono rintracciare gli echi di un tempo in processo, che non segna una misura o una sequenza, ma può essere letto in verticale come poesia, in orizzontale come acqua che passa e si increspa, o vento che gonfia e fa volare le vele di una barca gioiosamente oscillante. Per noi che guardiamo questo tempo di pittura non è altro che l’istante tempestoso in cui si vive I’avventura dello “sguardo”, che raccoglie la sorpresa e la spinta verso il fantastico.

La tecnica di Borrello consiste nell’intervenire sul segno grafico in modo che il percorso si muova secondo una miriade di percorsi connotativi, in un movimento che dissemina improvvise sensazioni di vertigine, ma il suono udibile di fondo è vicino al “carattere inesauribile del mormorio” che è al limite di un silenzio metafisico.

La ripetizione dei temi grafici seziona il corpo del discorso, lo divide in particelle, e quindi ne determina il confronto, stabilisce uno sfasamento dei livelli sintattici-grafici-cromatici ed emozionali. Il linguaggio pittorico dell’artista diventa un modo di esistere che riproduce il mondo segreto dei suoi resistenti desideri di libertà.

Il segno, insieme al colore, sempre timbrico, squillante, mediterraneo, liberati dai condizionamenti di una struttura tipicamente progettuale, subiscono dei precisi incidenti, il loro procedere si spezza in zone sospese a fili di tensione invisibili, così come la vita è, di fronte alla nostra volontà di conoscenza, quando essa è emendata dal male. Davanti a questi quadri, in cui segno e cromia dipanano le loro trame narrative, ci sovvengono senza un ordine certi De Chirico delle “Piazze d’Italia”, la materia pesante di De Stael, le apparizioni misteriche del cinema espressionista, o le cadenze oniriche del surrealismo ci viene da pensare che solo la semplificazione più rigorosa, e quindi I’astrazione, possono promettere la rivelazione dell’esistenza. Solo sfoltendo e sfrondando la vita dall’intrigo di affannosi dettagli che l’avviluppano come una sottile, ma verace ragnatela, si può liberarne la sostanza più autentica e rivelatrice, per condurci all’istante bruciante di felicità, che ci assale quando sentiamo di essere sospesi nello spazio a storico del cielo o del mare, o di una visione proveniente dal sogno a occhi aperti.

Nei quadri ultimi di Borrello, che sono poi quelli che ci intrigano di più, le immagini simbolo tendono a ingrandirsi, a occupare e oltrepassare, come un blow-up, il nostro campo visivo, sino ad agganciarsi ad altre immagini che risalgono dal fondo della nostra materia archetipa, per accoppiarsi a quelle dell’artista.

L’impressione visiva rimane fissa nella retina, essendo già un fatto di mero immaginario, ma prosegue poi il suo percorso sino a trasformarsi in una visione, ricca di abbagli, talora psichedelici, che si dà nei tempi fulminanti dell’esistenza psichica, prima ancora che sulla superficie della tela. Il pittore vuole rintracciare, a viva forza, una linea d’orizzonte, dentro cui l’occhio incontra accenni di una natura divisa, ma musicale, che dissemina lo schermo del quadro di rimanenze di memoria.

E qui diremmo che il continuum linea colore si chiude, ma si apre quello della storia che ci conduce verso un Borrello che è ormai approdato a una sua cosa ideale, magari quella grigia-azzurra delle acque del Lago di Garda.

Borrello si colloca, oggi, non nell’ambito autoritario di tendenze avanguardistiche, che peraltro sono sparite, ma in quel territorio dove si trovano le libere esperienze. Egli è uno di quei “diversi”, o “anormali” rispetto all’omologazione, uno di quegli “inclassificabili” che non possono essere fissati in uno stereotipo, e quindi non possono porre la propria candidatura rispetto a un mondo nel quale si differenziano in quanto corpi popolati di molteplicità.

In tutto questo troviamo i segni di un passato, che si ricongiunge a una concezione più naturalistica del corpo e del desiderio, che possono essere un bersaglio, ma anche un punto di ancoraggio. Vale a dire che Borrello non opera su una nozione astorica di mito, ma cerca una realtà carica di eventi straordinari e di “vissuto”, che possono essere mostrati, ma non completamente spiegati: l’immagine non rappresenta la cosa, ma è la cosa, colmando così la distanza tra sè e l’unità della natura.